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Alessandro Giacchino

Alessandro Giacchino

CEO di BCI Italia, Direttore di Toolnews & ITware

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Classe 1956, laurea in ingegneria al politecnico di Milano, diploma Master CBS alla Bocconi, ha lavorato in IBM, Gruppo Fininvest, Gruppo Olivetti dove si è occupato di marketing, ha avviato e diretto alcune società tutte nell’area delle nuove tecnologie.

Nel 1993 ha fondato Business Consulting International Italia (BCI Italia) Srl, società di servizi che tuttora gestisce, attraverso la quale ha partecipato a tre operazioni di quotazione in Borsa nel Nuovo Mercato, ha contribuito alla start-up di varie società e filiali nazionali di aziende multinazionali, ed al lancio di vari prodotti sul mercato.

Dirige il mensile di consulenza nell’area informatica Toolnews, ha avviato ITware.com, uno dei primi portali italiani dedicato alle soluzioni IT per le imprese, e tiene regolarmente conferenze sulle nuove tecnologie del mondo 2.0 e sul Digital Marketng.

Ha anche pubblicato il volume Fare Impresa nell'Era 2.0, uno dei primi testi ad apparire contemporaneamente in formato cartaceo e di eBook, dove ha tratteggiato i cambiamenti strutturali delle imprese alla luce delle nuove tecnologie.

 

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I Reality, specchio emblematico della nostra epoca storica

Il Grande Fratello, l'Isola dei Famosi e gli altri reality visti dallo psicoterapeuta.

di Elisa Caponetti 

Elisa Caponetti Negli ultimi anni stiamo assistendo sempre più ad una proliferazione dei reality show. Il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi rappresentano due realtà televisive molto importanti seppur diverse tra loro e che riscuotono estremo successo anche se a volte criticate entrambe. Nel corso del tempo hanno subito notevoli trasformazioni adattandosi ad esigenze di share e di pubblico.

Se è vero che possono essere delle esperienze molto usuranti per i concorrenti, in special modo il Grande Fratello (sia per una maggior durata che per il fatto di restare chiusi all’interno di una casa) è anche vero che riuscire a partecipare è una cosa molto ambita dagli aspiranti concorrenti. Viviamo ormai in un mondo estremamente esibizionistico in cui viene lasciato spesso poco spazio all’autenticità e alla libera espressione di sé e del proprio mondo emozionale.

Nei reality, e ciò vale per entrambi quelli citati, tutto ciò viene espresso e vissuto attraverso il piccolo schermo. La forza dei reality, tra l’altro seguitissimi, sta proprio nell’osservare le vite, i comportamenti e le reazioni dei partecipanti: talora ridono e gioiscono, altre, piangono e soffrono.

Chiunque può identificarsi a volte con un personaggio, a volte con un altro. Amicizie sincere o soltanto di comodo, segreti, complicità, competizione e rivalità, amori veri o presunti… Non manca proprio nulla, come nella vita realmente vissuta. E così è facile immedesimarsi in uno dei tanti partecipanti, a seconda di cosa risuonerà maggiormente internamente a noi e di quelle che sono state le nostre esperienze di vita passate e presenti.

Occorre considerare che la nostra è una società caratterizzata da un appetito insaziabile e una spettacolarizzazione delle vite umane in cui tutto viene digerito senza emozione alcuna, generando una vera e propria bulimia legata spesso alla necessità di ottenere un riconoscimento ed un’identificazione pubblica e sociale.

Solitamente ciò che spinge a partecipare ad un reality è il desiderio di avere visibilità dopo una fase di assenza dal piccolo schermo.

Una volta si diventava famosi perché si possedevano dei talenti, oggi i reality hanno il potere di dare visibilità immediata a persone spesso sconosciute e senza particolari e spiccate doti. Ed è così che pur di viversi alcuni momenti di visibilità si è disposti ad esibirsi senza alcuna propria tutela, senza nessuna conservazione di una propria intimità. Viene rappresentata la vita quotidiana priva di censura alcuna ed è così che il telespettatore arriva a cogliere ossessivamente ogni singolo istante vissuto dai protagonisti del momento dando attenzione anche al dettaglio più nascosto.

I concorrenti vengono messi in un tritacarne pronti ad offrire tutto di sé a spettatori morbosi desiderosi di cogliere in modo maniacale quello viene offerto. Si assiste e a volte si vive con trepidazione la vita degli altri lasciando scorrere la propria con minor interesse e passione. È uno specchio completamente rappresentativo della nostra epoca storica.

I reality raffigurano infatti uno spaccato veritiero e emblematico del nostro Paese, sono un ritratto fedele e autentico della società in cui viviamo, facendo affiorare contrasti, liti, gelosie, tradimenti, monotonia, così come la possibilità di costruire nuovi legami e amicizie. Tutto ciò alimenta in modo distorto il desiderio di protagonismo e spesso l’esaltazione estrema dell’individualismo.

Il futuro delle vendite è ibrido: processi, strumenti e competenze

Considerazioni di Alessandro Bodo, Founder & CEO di Cloudnova, ed Elisa Pellizzaro Marketing Manager di OpenSymbol

Alessandro Bodo, Elisa PellizzaroI modelli di vendita si trasformano in un costante processo di evoluzione che richiede alle aziende - oggi più che mai - spiccate capacità di adattamento, innovazione e una buona dose di dinamismo e propensione al cambiamento.

Negli ultimi tre anni abbiamo vissuto uno dei momenti storici più tumultuosi degli ultimi tempi. Anche dal punto di vista delle organizzazioni e del business, la pandemia e lo scenario geopolitico incerto hanno indubbiamente accelerato moltissimi dei processi che erano destinati a evolversi e affermarsi, ma rimanevano latenti.

La digitalizzazione ha permeato ancora di più ogni contesto e ambito aziendale, anche e soprattutto quello di vendita, dove si sono rafforzati modelli in grado di conciliare l’approccio fisico tradizionale con quello virtuale. E così sarà per il futuro. Secondo McKinsey, infatti, l’hybrid sales, inizialmente un adattamento alla pandemia, sarà la strategia di vendita B2B dominante entro il 2024 [McKinsey & Company, B2B Pulse—Global Edition, 2022].

La necessità di oggi è non abbandonare la relazione che definisce il processo stesso di vendita, tradizionalmente composto da incontri di persona, ma arricchirlo a livello strutturale con le opportunità che la digital transformation è in grado di offrire. Tutto questo, affinché abbia successo, comporta una serie di cambiamenti che devono essere implementati a livello aziendale.

Dal momento che la vendita può essere considerata una scienza, per avere successo, necessita di processi ben definiti, strutturati e chiari. Per adattarsi all’hybrid selling, questi processi devono cambiare con componenti nuove e innovative da inglobare nel percorso. Insieme ad essi, cambieranno anche i sistemi e gli strumenti a disposizione, così come le competenze.

Le competenze necessarie per avere successo nell’hybrid selling

Il nuovo approccio ibrido ha delle conseguenze sui ruoli delle risorse che compongono il processo stesso. Se da una parte l’accesso semplificato alle informazioni, abilitato dalla trasformazione digitale, rende più preparati i compratori, così anche i venditori si ritrovano a perfezionare le proprie competenze verso un modello sempre più consulenziale, in cui il rapporto tra le parti si evolve, personalizzando ogni incontro, dalle primissime fasi di contatto al post-vendita e alla fidelizzazione.

In questo contesto, che alterna meeting in presenza a contatti virtuali, le competenze tecniche del sales manager - ormai date per scontate - si affiancano a una serie di componenti soft skills e di intelligenza emotiva e sociale imprescindibili. Un modello, insomma, che ben si riassume in queste parole: "il venditore che diventa consulente non offre più un prodotto o un servizio che risolve al cliente un problema di oggi, ma lo affianca e lo anticipa affinché non se ne presentino in futuro”.

Il percorso verso un approccio sempre più consulenziale richiede inoltre che le competenze dei sales team vadano nella direzione dell’ascolto del cliente, realizzando una vendita basata sul valore (value selling).

Se gli incontri in presenza si riducono, è necessario essere estremamente reattivi e rigorosi nella proposta delle soluzioni: meno strette di mano significa anche meno possibilità di instaurare un rapporto di fiducia con il cliente. In questo, un approccio “scientifico” può concorrere al successo della vendita perché accompagna il commerciale attraverso processi ben definiti. Da qui si passa all’importanza degli strumenti che vengono messi nelle mani dei sales team (e allo sviluppo in generale di una maggiore sensibilità a livello aziendale nel supportarli). Pensiamo ad esempio alle metodologie di qualificazione del cliente (qualification framework) che supportano i sales manager nel definire con cura la controparte con cui relazionarsi, sia lead o utente già acquisito e da fidelizzare. Questo aiuta da un lato il commerciale a svolgere bene il proprio lavoro, dall’altro il cliente a sentirsi compreso e guidato.

Fondamentale oggi è parlare un linguaggio comune e garantire un allineamento di informazioni e obiettivi più profondo, sicuramente più difficile da realizzare in un contesto maggiormente da remoto.

I dati, risorsa sempre più critica

In un contesto quale quello appena descritto, l’importanza del valore dei dati diventa quindi naturale. Disporre delle informazioni giuste nel momento giusto è un requisito fondamentale per il successo della vendita. Ed è qui che entra in gioco la tecnologia: strumenti come il CRM acquistano un ruolo di primaria importanza, aiutando le aziende a digitalizzare i processi, gestendo, analizzando e ottimizzando le interazioni con clienti e prospect con l’obiettivo di realizzare la migliore esperienza di acquisto.

Grazie al CRM, si centralizzano in un’unica piattaforma i dati del cliente e le relazioni che intercorrono, per trasformarli in informazioni utili e strategiche sia all’esterno, per ottimizzare la customer experience, sia all’interno, per migliorare l’esperienza dei team di vendita.

In conclusione, oggi più che mai anche nelle vendite è importante essere consapevoli che “restare fermi” implica in realtà dei costi elevati. In un mercato altamente competitivo e in uno scenario in costante evoluzione, l’equazione secondo la quale rimanere allo status quo significa non avere costi aggiuntivi non è più vera. Di conseguenza, affidarsi a Partner competenti e qualificati, in grado di accompagnare le aziende verso la customer revolution, è oggi fondamentale.

Articolandosi attraverso la visione di tecnologia come commodity, Impresoft Group, con il Competence Center Customer Engagement di cui fanno parte Cloudnova, OpenSymbol, NexTech, NextCRM e Kipcast, si può innestare in questo percorso di innovazione verso il futuro delle vendite, offrendo competenze, tecnologie ma soprattutto percorsi di consulenza e crescita.

Idrogeno? Investire sin da subito nella produzione di elettrolizzatori!

Considerando l'auto elettrica una bufala e puntando invece su quella a idrogeno, il primo passo sta nel produrre idrogeno in quantità e a costi contenuti. Il PNRR offre tante risorse su questo.

Bene o male stiamo superando l'inverno senza aver patito i disastri economici e sociali paventati dai soliti allarmisti, con prezzi del gas in netto calo e le riserve ancora attestate intorno al 70% delle capacità di stoccaggio. Questo non deve comunque indurre a tralasciare gli obiettivi primari di riduzione delle emissioni di CO2 e di progressivo abbandono dei combustibili fossili a vantaggio di energie rinnovabili e meno inquinanti. Una dinamica che da molte parti spinge verso l'impiego delle auto elettriche che personalmente ritengo da non perseguire per varie ragioni.

La prima è che ci sono problemi di produzione e smaltimento delle batterie che spostano le problematiche di inquinamento dai songoli consumatori ai produttori, senza risolverne i problemi. Problemi aggravati dal fatto che per la gran parte l'energia elettrica viene prodotta usando centrali a gas o peggio a carbone, anziche quelle atomiche, idroelettriche, eoliche o fotovoltaiche che attualmente incidono per pochi punti percentuali sul totale dell'energia prodotta e producibile. Con il risultato che anche in questo caso si spostano le dinamiche di inquinamento dai singoli consumatori che usano auto a benzina o gasolio ai grandi produttori di energia. Ma non solo.

Nei giorni scorsi, il Sole 24ore ha pubblicato un interessante raffronto tra i costi e i tempi impiegati sulla tratta Milano Napoli da un'auto elettrica e una a gasolio. I risultati sono impressionanti: con l'auto elettrica sono stati spesi 110 euro, contro i 76 di quella a gasolio e per di più la durata del viaggio con l'auto elettrica si è allungata di oltre 2 ore a causa della necessità di ricaricare le batterie lungo il percorso. Ha senso puntare quindi sulle auto elettriche? Certo che no e infatti il mercato non decolla nonostante gli incentivi offerti dallo Stato! Quindi?

Occhi puntati sulle auto a idrogeno e alla loro filiera

Lanciarsi sulle auto a idrogeno è certamente prematuro visti gli alti costi, la modesta disponibilità di modelli e la pressoché inesistenza delle stazioni di rifornimento, che però si moltiplicheranno nei prossimi anni, ma c'è un'area che offre grandi opportunità di investimento e apertura nuove attività E' quella della produzione di elettrolizzatori di varie portate, da accoppiarsi ovunque possibile a pannelli fotovoltaici di facile installazione. Perché?

Il perché è presto detto: sebbene l'idrogeno si possa trasportare abbastanza agevolmente, è pensabile che in corrispondenza di ogni stazione di servizio che ne offra le condizioni venga installato un impianto di produzione basato su energie rinnovabili che alimentano degli elettrolizzatori, il vero cuore della produzione di idrogeno.

A tal proposito, il piano della Commissione europea "Strategia sull’idrogeno per un’Europa climaticamente neutra", del luglio 2020, incentiva l'installazione di almeno 6 GW di capacità di elettrolisi, per produrre un milione di tonnellate di idrogeno, entro il 2024, che dovranno diventare entro il 2030 rispettivamente 40 GW e 10 milioni di tonnellate di idrogeno. Obiettivi successivamente ampliati nel corso del 2022 proprio in seguito al tentativo di rendere l'Europa indipendente dalle forniture di gas russo.

Attualmente, l’idrogeno prodotto da elettrolisi costa molto di più di quello prodotto con altri processi industriali, ma se gli elettrolizzatori vengono accoppiati a fonti di energia rinnovabili, il costo si riduce drasticamente. Nel contempo, l'aumento di produzione e gli investimenti in ricerca favoriti dalla competizione industriale fanno prevedere che nel tempo ridurranno i loro prezzi di acquisto, migliorando l'efficienza. Ad esempio, in Cina, Giappone e Corea che hanno puntato sull'idrogeno già da tempo, i costi degli elettrolizzatori sono molto più contenuti di quelli indicati nello studio Csiro. Si tratta quindi di un'area sulla quale varrebbe la pena di concentrare le proprie attenzioni, avendo grandi prospettive future.

Elettrolizzatori incentivati dal PNRR

IPCEI, i progetti di interesse europeo sull'idrogenoSe gli obiettivi fissati nel 2020 dalla UE puntavano a decarbonizzare la produzione di idrogeno esistente, promuovendo nel contempo il ricorso all'idrogeno in altre aree, tra le quali l'alimentazione di mezzi di trasporto quali auto, bus, navi e treni, l'invasione della Ucraina da parte della Russia ha impresso una forte accelerazione a questo processo cercando di garantire l'indipendenza energetica dai combustibili fossili dell'intero continente europeo. In particolare, nel corso dell'European Electrolyser Summit tenutosi a Brussels il 5 maggio 2022 è stata impressa una forte accelerazione a questo piano, fissando, nell'ambito dei progetti Fitfor55 e RePowerEU nuovi obiettivi ancora più ambizioni di quelli già stringenti indicati nel 2020. Da qui, le iniziative per favorire la produzione di elettrolizzatori di grandi dimensioni (fino a 100 MW) da accoppiarsi ai grandi impianti industriali, tipo quelli siderurgici e chimici, così come quelli molto più piccoli ad uso edilizio o per i punti di rifornimento da allestire lungo le strade. Tra queste, val la pena di citare una delle più consistenti, ovvero quello intitolato come Important Projects of Common European Interest (IPCEI).

La strada è tuttavia lunga: nel 2019, nella UE, erano attivi solo 300 elettrolizzatori, capaci di produrre meno del 4% del totale di idrogeno prodotto nell'anno. Il piano varato nel 2020 puntava a moltiplicare questo valore per almeno 4, anche a fronte dei paralleli incrementi di produzione totale dell'idrogeno, entro il 2050.

In termini economici, questo comporterà da qui al 2050 ad investimenti cumulativi a favore dell'idrogeno rinnovabile valutabili tra i 200 e i 500 miliardi di euro. Stando alle stime pubblicate in questo studio, l'idrogeno pulito potrebbe arrivare a soddisfare il 24% della domanda di energia mondiale entro il 2050, con un fatturato annuo pari a circa 630 miliardi di euro.

Qualche numero sulle prospettive della produzione di idrogeno

Seguendo le indicazioni del piano europeo, una delle strade di affermazione dell'idrogeno sta nella conversione di alcuni impianti che assorbono energia elettrica o calore prodotti da idrocarburi, tipo quelli siderurgici, a cominciare nel nostro Paese dalla acciaieria di Taranto. Bene, convertire all'idrogeno impianti di questo tipo può costare tra i 160 e i 200 milioni di euro.

Aprire 400 stazioni di rifornimento di idrogeno di piccole dimensioni per alimentare i mezzi di trasporto su strada richiede investimenti che possono arrivare a 1 miliardo di euro, ovvero più o meno 250 mila euro a stazione.
Sebbene attualmente ci siano poco meno di 300 imprese impegnate nella produzione e nella installazione di elettrolizzatori, la loro capacità totale è inferiore a 1 GW. Valore da confrontarsi con i 40 GW che si dovrebbero raggiungere entro il 2030.

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