Pioggia di denaro sull’idrogeno dalla UE e non solo
- Scritto da Alessandro Giacchino
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Al COP27 tavole rotonde e vari annunci rilanciano l’attenzione sull’importanza dell’idrogeno come base per l’energia del prossimo futuro.
Di idrogeno ci siamo già occupati e continueremo a farlo dal momento che si tratta di una delle principali aree di innovazione da qui almeno al 2030. Ne abbiamo parlato in termini di prospettive e di produzione, mentre prossimamente lo riprenderemo sul fronte delle iniziative dei privati, dei progetti di finanziamento a livello UE, degli impieghi e della revisione dell'intera filiera. Qui diamo spazio alla principale iniziativa a livello mondiale che si sta svolgendo proprio in questi giorni.
Lo scorso 8 novembre 2022, in occasione del COP27 di Sharm el-Sheikh, si è tenuta una intera giornata dedicata all’idrogeno con tutti i risvolti che può portare sia sul fronte della riduzione delle emissioni di CO2, sia per ridurre l’Europa e tutti i Paesi del mondo dalla dipendenza dei detentori dei grandi giacimenti di idrocarburi, dal petrolio al gas.
In realtà, il tema non è per nulla nuovo: già nel COP21 tenutosi a Parigi nel dicembre 2015, al quale ha partecipato una rappresentanza di ben 195 Stati, è stato affrontato il tema di contenere l’innalzamento della temperatura del globo sotto i 2°, meglio ancora sotto i 1,5°, rispetto ai livelli pre-industriali. Ne è quindi scaturito un accordo che è stato firmato il 22 aprile 2016 da 177 paesi, compresa l’Italia assieme ai 28 Stati membri dell'UE, gettando le basi per una serie di iniziative mirate a limitare le emissioni di CO2 legate all’energia a meno di 770 megatoni (Mt) l’anno entro il 2050. Traguardo che è raggiungibile unicamente con consistenti interventi di decarbonizzazione per i quali diventa indispensabile impiegare l’idrogeno su larga scala come alternativa e complemento alle tradizionali fonti di energia costituite prevalentemente da idrocarburi fossili.
Personalmente, avendo una logica imprenditoriale, non credo nelle imposizioni legislative che per un verso o per l’altro minano la competitività delle aziende e talvolta rischiano di ridefinire in modo forzoso gli equilibri economici persino delle economie di intere nazioni. Specie, se ad aderire gli accordi non sono tutti i Paesi del mondo, molti dei quali sono naturalmente orientati a difendere i propri interessi, e se non ci sono né organismi in grado di intervenire operativamente a livello globale, né azioni di accompagnamento - leggi finanziamenti, anche a fondo perduto – in grado di tutelare gli interessi degli operatori coinvolti in questi radicali cambiamenti. Tant’è, che fino all’anno scorso, i progressi sull’idrogeno sono stati modesti tanto a livello di investimenti, quanto di innovazioni e impieghi.
Tutto è cambiato, e sta cambiando, in seguito all’invasione dell’Ucraina dal parte della Russia, con la maturazione della consapevolezza di quanto sia fragile un sistema economico che dipende da pochi fornitori di energia che operano in condizioni di monopolio – o al massimo oligopolio – e di quanto sono vulnerabili i sistemi di approvvigionamento basati su metanodotti o poche navi attrezzate. Così, come risvegliandosi da un letargo in seguito alla minaccia di una belva feroce, l’Europa si è rimessa in moto con una serie di iniziative importanti tanto a livello di finanziamenti, quanto sul piano progettuale, strutturale e organizzativo, preludendo ad una fase altrettanto indispensabile, ovvero a quella che definisce o rivede le normative per la produzione, distribuzione e impiego dell’idrogeno su larga scala.
Rilancio che è risultato palpabile proprio al COP27 di Sharm El-Sheikh, in Egitto, nel quale l’intera settimana, e in particolare la giornata dell’8 novembre, sono stati dedicati all’idrogeno, protagonista di di vari accordi, annunci e di una importante tavola rotonda. Al centro del discorso, la creazione, e in alcune parti la sola revisione, dell’intera filiera dell’idrogeno (produzione, distribuzione, consumo) affrontata dall'Hydrogen Transition Summit, puntando principalmente sull’idrogeno verde, ma non solo.
Attualmente, vengono prodotti annualmente 90 Mt di idrogeno, in gran parte usando il gas naturale (metano), mentre meno dello 0,5% viene prodotto usando energie rinnovabili, quindi classificabile a tutti gli effetti come “verde”. Il 95% dell'idrogeno prodotto viene usato in processi industriali, per raffinare il petrolio e produrre ammoniaca o metanolo. Una realtà destinata a cambiare molto rapidamente nei prossimi anni, affiancando una consistente crescita degli impieghi a livello industriale, con quelli per i trasporti.
Il piano RePowerEU
A oggi, si possono contare quasi 700 proposte di progetti di ampie dimensioni che si sviluppano lungo l’intera catena del valore dell’idrogeno, per un totale stimato di 240 miliardi di dollari, solo il 10% dei quali sono già passati alle fasi operative.
Con il piano RePowerEU, la UE si è prefissata l’obiettivo di arrivare a produrre 20 MT di idrogeno entro il 2030, ma a questo piano ne è seguito uno ancora più ambizioso, pubblicato a metà 2022, che è una sorta di acceleratore del piano iniziale, puntando ad azzerare le importazioni di combustibili fossili dalla Russia in tempi stringenti, in ogni caso molto prima del 2030. Ad integrazione dell’importante balzo nella produzione europea di idrogeno, la UE ha previsto di importarne un equivalente di ulteriori 10 MT da Paesi al di fuori della Unione Europea.
In questo contesto, si inserisce anche un fattore competitivo di rilevante importanza: attualmente, la UE può vantare molti primati tecnologici nella produzione di idrogeno e per di più è dotata di una consistente e capillare rete di metanodotti che progressivamente potranno essere impiegati e convertiti per la distribuzione i idrogeno destinato a vari usi. In questo scenario competitivo si inseriscono anche alcuni Paesi asiatici, segnatamente Giappone e Cina, che hanno puntato sull’idrogeno già da parecchi anni, con i quali si dovranno fare i conti, evitando di divenirne vittime, ma con delle prospettive estremamente interessanti dal momento che i Paesi in via di sviluppo raramente hanno le competenze e soprattutto i mezzi per realizzare importati produzioni di idrogeno verde.
Qualche polemica sui colori dell’idrogeno
A margine della conferenza, è stata messa in discussione la classificazione dell’idrogeno per colori: verde se prodotto usando energie rinnovabili, grigio se ricavato dal metano. Ma se è prodotto per idrolisi usando l’energia proveniente da centrali nucleari? Perché “rosa” o “viola”? Il contenuto di carbonio in questo caso è identico a quello verde, ovvero zero, mentre le centrali nucleari non producono assolutamente CO2. Quindi? Riclassificarlo per quantità di CO2 prodotta nel processo o come? Ma al di là delle immancabili polemiche, resta il fatto che l’idrogeno di qualsiasi colore offre numerosi miglioramenti rispetto ad altre fonti, a patto di produrlo in modo economicamente conveniente. E per il momento, l’elettrolisi non è ancora in grado di competere con lo steam reforming o la gassificazione, quindi meglio per il momento renderlo competitivo sul fronte dei consumi, così da finanziare la ricerca e la creazione di soluzioni “verdi” più convenienti per una domanda più consistente.
Ripartizione degli investimenti per aree della filiera
Interessante analizzare come si stanno ripartendo gli investimenti sull’intera filiera dell’idrogeno. Al momento, quali il 65% degli investimenti censiti sono indirizzati sul fronte della produzione, il 25% sui mercati di utilizzo finale e solo il 10% è destinato allo stoccaggio e al trasporto. Così, occorre procedere su tutti i fronti in modo progressivo, per non avere impianti senza clienti o viceversa clienti potenziali, ma senza forniture. Un equilibrio, specie quello che riguarda le infrastrutture e i trasporti, che può essere convenientemente favorito dai finanziamenti pubblici, anche a fondo perduto, che giustificano la creazione di strutture in attesa del concretizzarsi del mercato. Un ruolo che i consistenti investimenti delle varie iniziative europee, che cercherò di illustrare sommariamente in un prossimo post stanno cercando di assolvere.
La Breakthrough Agenda
A COP27 è stata siglata anche la Breakthrough Agenda, un piano d'azione per l'idrogeno della durata di 12 mesi al quale hanno aderito un gruppo di Nazioni che rappresentano il 50% del prodotto interno lordo (PIL) globale, e che comprende il G7, Cina, India, Australia e Corea del Sud. Due gli obiettivi principali: implementare "50 impianti industriali a emissioni zero su larga scala" per decarbonizzare una rappresentanza delle industrie dei fertilizzanti, dell'acciaio e del cemento, tra le altre, e un programma di certificazione per garantire la qualità dei risultati e la loro replicabilità.
Si punta ad avere un formale processo di certificazione già attivo per la prossima COP28.
E’ anche stata scelta la piattaforma multinazionale Mission Innovation per il monitoraggio delle attività e la condivisione delle esperienze.
Il coordinamento del programma è stato affidato alla International Partnership for Hydrogen and Fuel Cells in the Economy, organizzazione fondata nel 2003, supportata dall'IEA e dall'International Renewable Energy Association (Irena). Tra i punti più ambiziosi di questa iniziativa c’è il coinvolgimento di alcune istituzioni finanziarie, tra le quali la Banca mondiale e per lo sviluppo industriale l’Organizzazione delle Nazioni Unite.
In un prossimo post offrirò una sintetica panoramica sui principali annunci e accordi presentati a COP27.
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